Visione e preghiera di Dylan Thomas ⥀ Poesie scelte
Nella convinzione che il modo migliore di omaggiare un editore sia leggere i suoi libri, ricordiamo oggi Gino Giometti pubblicando una selezione di poesie tratte dall’ultima pubblicazione della casa editrice Giometti&Antonello, la raccolta Visione e preghiera di Dylan Thomas a cura di Tommaso Di Dio
Ogni cosa desidera e attrae, e, in questa gravitazione universale e fantasmatica, tutto passa, scompare, s’inabissa. «Passare è il mio desiderio», scrive Dylan Thomas. Dalla modernità del primo Novecento, intorno e subito dopo la Prima Grande Guerra e il senso di transitorietà dell’umano che la tragedia aveva portato con sé, sgorgano alcune delle migliori testualità incarnate della letteratura universale: Eliot, Pound, Joyce, Mandel´štam, Vallejo, Thomas.
Dalla carne marcia della Storia, sotto i pesanti strati della notte, dal buio dell’orrore che rende muti, è la poesia la prima a riemergere, «La poesia è l’innesco che fa sì che la carne morta del linguaggio impercepito torni viva, mediante il processo operativo della scrittura e grazie al corpo stesso dello scrittore che vi si dà completamente nella composizione vocale» scrive, nell’introduzione al volume Visione e preghiera e altre poesie scelte di Dylan Thomas (Giometti&Antonello, 2023), che oggi vi presentiamo, il curatore dell’edizione Tommaso Di Dio; Thomas infatti vivifica la carcassa maleodorante della materia linguistica attraverso, letteralmente, il proprio corpo-medium, e nel gesto poetico costruisce il suo mondo liquido, di trapasso, che unisce cielo, territà, regni animali e vegetali, fantasmi e abissi marini, dopo la fine, prima e ancor prima, nel momento di, quando tutto sta per, crollare, rovinare, deperire; ricominciare ancora. «Prima che il mondo si fermi e smetta di oscillare».
(Fabio Orecchini)
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Prima che il gas svanisca
Prima che il gas svanisca nel suo ultimo stridulo gorgoglìo,
e la caccia nell’attaccapanni scopra zero monetine di rame,
prima che l’ultima sigaretta e le maniche della camicia e le pantofole
e la trappola del secolo ti abbiano morso fra le cosce,
prima che il pezzo di terra sia diserbato e seminato,
che si raccolga dalla quercia e che crescano verdi gli alberi a primavera,
e che lo Stato cada a pezzi,
e diventi cibo per gatti,
prima che la civiltà risorga o diventi putredine,
(è una questione di viscere,
corruzione, veleno e beffa,
roba sentimentale, raggiri della ragione,
travestimenti camaleontici di pezzi grossi come vermi),
che le mascelle si chiudano e la vita sia spenta con un click.
Prima dell’arrivo dell’angelo o del diavolo,
prima del bene o del male, della luce e del buio,
prima del nero del bianco e del calzino destro o sinistro
prima della buona o cattiva sorte.
Il tempo libero dell’uomo, prodotto dall’uomo, dura quattro stagioni,
è vuoto in primavera, e nessun altro tempo riduce di più
l’amaro, il malefico, il senz’impegni allungato e disteso
sonno traforato da risvegli, sogni
fratturati da soffocamenti,
la fame dei vivi, il forno e la pistola
che si svegliarono e furono sollevati nella furia
producono la fame di chi vive
quando le tasche sono vuote
e la pancia è vuota,
più dura da sopportare e la più forte.
La trappola del secolo si richiuderà una volta per tutte
tutt’intorno a te, la carne si spappolerà, e il sangue
scorrerà per le viscere del mondo
prima che il mondo si fermi, smetta di oscillare, si sia fermato
o oscilli, si muova di lato e oscilli, prima che il mondo vacilli.
Catturato nella trappola del macchinario, a luci spente,
con gli occhi che non vedono e con i cuori che non battono,
non vedrai il mondo diventare fermo né cadere
sotto i pesanti strati della notte che è
non bianca, non nera, non destra, non sinistra.
Before the gas fades
Before the gas fades a harsh last bubble,
And the hunt in the hatstand discovers no coppers,
Before the last fag and the shirt sleeves and slippers,
The century’s trap will have snapped round your middle,
Before the allotment is weeded and sown,
And the oakum is picked, and the spring trees have grown green,
And the state falls to bits,
And is fed to the cats,
Before civilization rises or rots,
(It’s a matter of guts,
Graft, poison, and bluff,
Sobstuff, mock reason,
The chameleon coats of the big bugs and shots),
The jaws will have shut, and life be switched out.
Before the arrival of angel or devil,
Before evil or god, light or dark,
Before white or black, the right or left sock,
Before good or bad luck.
Man’s manmade sparetime lasts the four seasons,
Is empty in springtime, and no other time lessens
The bitter, the wicked, the longlying leisure,
Sleep punctured by waking, dreams
Broken by choking,
The hunger of living, the oven and gun
That turned on and lifted in anger
Make the hunger for living
When the purse is empty
And the belly is empty,
The harder to bear and the stronger.
The century’s trap will have closed for good
About you, flesh will perish, and blood
Run down the world’s gutters,
Before the world steadies, stops rocking, is steady,
Or rocks, swings and rocks, before the world totters.
Caught in the trap’s machinery, lights out,
With sightless eyes and hearts that do not beat,
You will not see the steadying or falling,
Under the heavy layers of the night
not black or white or left or right.
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Prima che come appena nati
Prima che come appena nati
saremo nudi, scaraventati
sulla terra dell’oro o del petrolio,
tra la razzia e la risposta armata
della carne e delle ossa. Prima che
la nostra pretesa sia una volta per tutte impalata
vicino al pozzo o vicino alla cava
prima che le promesse siano adempiute
e che la gioia sia fatta dolore.
Allora prendetevi pure il pozzo sprizzante o il campo
dove tutte le pietre nascoste sono oro,
noi non abbiamo scelta, la scelta fu fatta
prima del nostro sangue
e io costruirò il mio mondo liquido
e voi, prima che freddo sia il fiato
e siano spillate le vene e rivelata la rovina,
la vostra solida terra.
Before we mothernaked fall
Before we mothernaked fall
Upon the land of gold or oil
Between the raid and the response
Of flesh and bones
Our claim is staked for once and all
Near to the quarry or the well
Before the promises fulfill
And joys are pains.
Then take the gushes or the field
Where all the hidden stones are gold
We have no choice our choice was made
Before our blood
And I will build my liquid world
And you, before the breath is cold
And doom is turned and veins are spilled,
Your solid land.
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Come potrà il mio animale
Come potrà il mio animale,
la cui forma di stregone cerco e traccio nella caverna del cranio,
vascello di ascessi e guscio di esultanza,
sopportare sepoltura sotto le incantate mura ortografiche,
l’invocato, avvolgente velo di morte sulla cima del viso;
chi dovrà urlare, sbattuto
come un polpo, ubriaco come la lumaca del vigneto,
ruggendo strisciando litigando
con le intemperie del mondo esterno, chi dovrà
ridurre il circolo naturale dei cieli appresi
alla misura dei suoi strani occhi?
Come potrà magnetizzare
verso il maschio da monta, in una ricurva vampa notturna
che fonda lo sperone della testa leonina e il ferro di cavallo del cuore,
sulla cima fresca dei giorni di campagna una terra brutale
per il trotto con una sonora compagna sui lunghi letti di fieno;
come potrà amare e travagliare e uccidere
in una veloce, dolce crudele luce finché il terreno chiuso si sprigioni,
esulti il detonato nero mare e le viscere
diventino tartaruga e l’artiglio delle vene contorte a granchio
sprema da ogni rossa particola
la voce arida e rabbiosa?
I pescatori di tritoni strisciano
e arpeggiano sulla marea, affondano il loro fatato spillo ricurvo
con una esca-sposa di pane d’oro. Io, con una
matassa viva, con lingua e udito nel filo, dispongo in prospettiva
la ciocca legata alla tempia e le pozze di grotta animale di incanti e ossa,
tratteggio un tentacolo, inchiodato
con un occhio aperto, nella scodella di ferite e di malerbe
per abbracciare la mia furia alla terra e abbattere
il suo grande sangue; mai alcuna bestia nascerà
per mappare in un atlante soltanto pochi mari
o per dare equilibrio al giorno su di un corno.
Sospira a lungo, gelida argilla, giaci rasoiata, in alto
gettata e stordita su di una pietra con le branchie; astute forbici
arrotate nel gelo, scattano nel boschetto della forza, amore
sbozzato in pilastri crolla con l’uccello scolpito, il santo e il sole. È potata
la vergine bocca coronata di spilli come un relitto,
come un cespuglio piumato di fiamme, lo sproloquio
di un occhio feroce, è tagliato corto
il gesto del fiato. Muori in rosse piume quando
si dà un taglio al volo del cielo e rotola con la terra abbattuta.
Resta arida, mia bestia, rapinata del riposo. Hai
scalciato da una tana oscura, hai
innalzato un luminoso nitrito e scavi
la tua stessa fossa nel mio petto
How shall my animal
How shall my animal
Whose wizard shape I trace in the cavernous skull,
Vessel of abscesses and exultation’s shell,
Endure burial under the spelling wall,
The invoked, shrouding veil at the cap of the face,
Who should be furious,
Drunk as a vineyard snail, flailed like an octopus,
Roaring, crawling, quarrel
With the outside weathers,
The natural circle of the discovered skies
Draw down to its weird eyes?
How shall it magnetize,
Towards the studded male in a bent, midnight blaze
That melts the lionhead’s heel and horseshoe of the heart,
A brute land in the cool top of the country days
To trot with a loud mate the haybeds of a mile,
Love and labour and kill
In quick, sweet, cruel light till the locked ground sprout out,
The black, burst sea rejoice,
The bowels turn turtle,
Claw of the crabbed veins squeeze from each red particle
The parched and raging voice?
Fishermen of mermen
Creep and harp on the tide, sinking their charmed, bent pin
With bridebait of gold bread, I with a living skein,
Tongue and ear in the thread, angle the temple-bound
Curl-locked and animal cavepools of spells and bone,
Trace out a tentacle,
Nailed with an open eye, in the bowl of wounds and weed
To clasp my fury on ground
And clap its great blood down;
Never shall beast be born to atlas the few seas
Or poise the day on a horn.
Sigh long, clay cold, lie shorn,
Cast high, stunned on gilled stone; sly scissors ground in frost
Clack through the thicket of strength, love hewn in pillars drops
With carved bird, saint, and sun, the wrackspiked maiden mouth
Lops, as a bush plumed with flames, the rant of the fierce eye,
Clips short the gesture of breath.
Die in red feathers when the flying heaven’s cut,
And roll with the knocked earth:
Lie dry, rest robbed, my beast.
You have kicked from a dark den, leaped up the whinnying light,
And dug your grave in my breast.

Fabio Orecchini
Fabio Orecchini (Roma, 1981) è poeta, antropologo, artista. Ha pubblicato Dismissione (Luca Sossella Editore, libro+cd, Roma, 2014), Per Os (Sigismundus editrice, Ascoli Piceno, 2017) e Figura (Oèdipus, Salerno, 2019). Suoi testi sono apparsi su numerose riviste tra cui Alfabeta2, Versodove, L’Ulisse e Nuovi Argomenti ed è presente nel documentario GenerazioneY – Poesia italiana ultima prodotto da Rai5. Ha eseguito installazioni site-specific in spazi quali l'Ex G.I.L di Campobasso, il Palazzetto dei Nobili de L’Aquila, la Mole Vanvitelliana di Ancona, e, a Roma, presso la Biblioteca Nazionale, l’Accademia d’Ungheria, il Teatro Argentina e la Fondazione Primoli. Con l'installazione TerraeMotus si è aggiudicato il Premio "Elio Pagliarani" 2018. Con alcune opere inedite si è aggiudicato il Premio "Poesia di Strada" (XVII ed.) e il Premio "Città di Gallipoli". Collabora con la rivista Argo e la casa editrice Argolibri, per la quale dirige la collana "Talee"; ha inoltre curato la prima edizione italiana di After Lorca di Jack Spicer (Gwynplaine/Argo,2018) e il volume L'altra voce (Giometti & Antonello, 2019), epistolario della poetessa argentina A.Pizarnik.