Yokohama Triennale 2014. Art Fahrenheit 451: Sailing into the sea of oblivion
La Triennale di Yokohama è una delle maggiori manifestazioni artistiche a livello internazionale del Giappone, ed è quest’anno diretta dall’artista Yasumasa Morimura.
« Morimura chi?»
« Morimura nel viso rugoso e con l’orecchio mozzato di Van Gogh, Morimura dal ghigno pietrificato di Medusa, Morimura nei baffi del dittatore… Morimura come Marlene, come Audry e come Marylin… Morimura con il berretto del Che, agghindato come Frida Khalo, nudo e languido come l’Olympia di Manet…»
Yasumasa Morimura famoso per i suoi travestimenti.
Art Fahrenheit 451: Sailing into the sea of oblivion è il titolo di questa quinta edizione e ne detta anche il tema. Il titolo allude alla metafora dell’oblio come un mare vasto e profondo, e al celebre romanzo di fantascienza di Ray Bradbury Fahrenheit 451, perché, seguendo la stessa sorte degli “uomini-libro”, al termine della visita si giungerà inevitabilmente alla conclusione che le cose e le persone perdute hanno una loro memoria.
Come un libro da sfogliare, la Triennale si divide in undici capitoli, dal nome poetico e allusivo. Tra questi:
Listening to Silence and Whispers: i quadri bianchi di Kazimir Malevich, la musica silenziosa di John Cage in 4’33” e il botta e risposta tra gatto e padrone in Interview with a Cat di Marcel Broodthaers dimostrano che il silenzio e i sussurri sono più potenti delle grida e dei discorsi infiniti.
Encountering a Drifting Classroom: il risultato di alcuni workshops tenuti con i lavoratori invisibili di Kamagasaki, quartiere-dormitorio e vera e propria “città dell’oblio” di Osaka.
Art Fahrenheit 451: quanto concerne la censura, il controllo della libertà, la scomparsa, la morte. E anche le parole lasciate a metà, i desideri inespressi, la propria auto-censura. Al capitolo n. 3 compaiono A linving Man Declared Dead and Other Chapters I-XVIII di Taryn Simon, e il film The Ugly One di Eric Baudelaire.
Laboring in Solitude, Wrestling with the World: Ononimo, una tela di Alighiero Boetti, l’unico italiano ospite alla Triennale, invita a ricordare che il lavoro dell’artista è per la maggior parte solitario e alienato dalla società.
Monolugues by the Enfants Terribles: i sogni sognati da bambini e andati perduti nell’età adulta sono i disegni postati quotidianamente su facebook dalla giapponese Chie Matsui, e anche le tele della serie Hammer and Sikle di Andy Warhol.
E ancora, distribuiti tra i diversi capitoli, si ammirano le fotografie che documentano il lavoro di René Magritte, si ascolta attenti il silenzio dalla radio di calcestruzzo, World Receiver, di Isa Genzken, ci si siede a vedere seri i documentari Workers Struggling with the World di Yasmine Kabir e Something Used to Be There di Kiri Dalena, l’uno sul lavoro di smantellamento di una nave in Bangladesh, l’altro su una strage di giornalisti nelle Filippine, e infine si sorride al celebre Her + Him Van Leo di Akram Zaatari, un video sul segreto di una fotografia scattata nel Cairo del secondo dopoguerra…
Insegna la Triennale che dimenticare significa possedere una memoria che come un buco nero assorbe tutto ciò che non permane. Dalla parte delle cose perdute… Le cose inutili, gli scarti prima di arrivare all’opera compiuta e destinati al secchio della spazzatura, ciò che è stato ignorato per caso o volontariamente, lungo tutto il corso della storia, o in particolare dalla società contemporanea, i segreti di famiglia, le rovine, la cultura distrutta dalle bombe, gli emarginati, i traumi della guerra, i drammi che si vogliono scordare e, ronzio costante e senza interruzione, la doppia tragedia del Grande terremoto del Tohoku del 2011 e dell’incidente di Fukushima…
La prospettiva dell’oblio induce a riconsiderare il proprio modo di vedere il mondo, e a dare valore a tutto ciò che si è dimenticato. La visita della Triennale si rivela pertanto una sorpresa, un’esperienza indimenticabile, soprattutto un arricchimento di conoscenze e uno stimolo all’auto-analisi; ma la Triennale apre anche una finestra sul tentativo del Giappone post-terremoto di trovare uno stile di vita lontano dal consumismo.
Sulla via dell’uscita il visitatore è invitato a cercare il proprio mare dell’oblio: vasto e profondo, vi vaga e vi si perde.
«Ehi tu!»
«Ma chi…? io?»
«Si si, tu! Tu proprio lì… Di’ ad Astolfo che Morimura ha invertito il corso di quel fiume che si chiama Lete… ».
« Morimura chi?»
« Morimura nel viso rugoso e con l’orecchio mozzato di Van Gogh, Morimura dal ghigno pietrificato di Medusa, Morimura nei baffi del dittatore… Morimura come Marlene, come Audry e come Marylin… Morimura con il berretto del Che, agghindato come Frida Khalo, nudo e languido come l’Olympia di Manet…»
Yasumasa Morimura famoso per i suoi travestimenti.
Art Fahrenheit 451: Sailing into the sea of oblivion è il titolo di questa quinta edizione e ne detta anche il tema. Il titolo allude alla metafora dell’oblio come un mare vasto e profondo, e al celebre romanzo di fantascienza di Ray Bradbury Fahrenheit 451, perché, seguendo la stessa sorte degli “uomini-libro”, al termine della visita si giungerà inevitabilmente alla conclusione che le cose e le persone perdute hanno una loro memoria.
Come un libro da sfogliare, la Triennale si divide in undici capitoli, dal nome poetico e allusivo. Tra questi:
Listening to Silence and Whispers: i quadri bianchi di Kazimir Malevich, la musica silenziosa di John Cage in 4’33” e il botta e risposta tra gatto e padrone in Interview with a Cat di Marcel Broodthaers dimostrano che il silenzio e i sussurri sono più potenti delle grida e dei discorsi infiniti.
Encountering a Drifting Classroom: il risultato di alcuni workshops tenuti con i lavoratori invisibili di Kamagasaki, quartiere-dormitorio e vera e propria “città dell’oblio” di Osaka.
Art Fahrenheit 451: quanto concerne la censura, il controllo della libertà, la scomparsa, la morte. E anche le parole lasciate a metà, i desideri inespressi, la propria auto-censura. Al capitolo n. 3 compaiono A linving Man Declared Dead and Other Chapters I-XVIII di Taryn Simon, e il film The Ugly One di Eric Baudelaire.
Laboring in Solitude, Wrestling with the World: Ononimo, una tela di Alighiero Boetti, l’unico italiano ospite alla Triennale, invita a ricordare che il lavoro dell’artista è per la maggior parte solitario e alienato dalla società.
Monolugues by the Enfants Terribles: i sogni sognati da bambini e andati perduti nell’età adulta sono i disegni postati quotidianamente su facebook dalla giapponese Chie Matsui, e anche le tele della serie Hammer and Sikle di Andy Warhol.
E ancora, distribuiti tra i diversi capitoli, si ammirano le fotografie che documentano il lavoro di René Magritte, si ascolta attenti il silenzio dalla radio di calcestruzzo, World Receiver, di Isa Genzken, ci si siede a vedere seri i documentari Workers Struggling with the World di Yasmine Kabir e Something Used to Be There di Kiri Dalena, l’uno sul lavoro di smantellamento di una nave in Bangladesh, l’altro su una strage di giornalisti nelle Filippine, e infine si sorride al celebre Her + Him Van Leo di Akram Zaatari, un video sul segreto di una fotografia scattata nel Cairo del secondo dopoguerra…
Insegna la Triennale che dimenticare significa possedere una memoria che come un buco nero assorbe tutto ciò che non permane. Dalla parte delle cose perdute… Le cose inutili, gli scarti prima di arrivare all’opera compiuta e destinati al secchio della spazzatura, ciò che è stato ignorato per caso o volontariamente, lungo tutto il corso della storia, o in particolare dalla società contemporanea, i segreti di famiglia, le rovine, la cultura distrutta dalle bombe, gli emarginati, i traumi della guerra, i drammi che si vogliono scordare e, ronzio costante e senza interruzione, la doppia tragedia del Grande terremoto del Tohoku del 2011 e dell’incidente di Fukushima…
La prospettiva dell’oblio induce a riconsiderare il proprio modo di vedere il mondo, e a dare valore a tutto ciò che si è dimenticato. La visita della Triennale si rivela pertanto una sorpresa, un’esperienza indimenticabile, soprattutto un arricchimento di conoscenze e uno stimolo all’auto-analisi; ma la Triennale apre anche una finestra sul tentativo del Giappone post-terremoto di trovare uno stile di vita lontano dal consumismo.
Sulla via dell’uscita il visitatore è invitato a cercare il proprio mare dell’oblio: vasto e profondo, vi vaga e vi si perde.
«Ehi tu!»
«Ma chi…? io?»
«Si si, tu! Tu proprio lì… Di’ ad Astolfo che Morimura ha invertito il corso di quel fiume che si chiama Lete… ».
Dal 1 agosto al 3 novembre 2014, Yokohama Museum of Art, Shinko Pier Exhibition Hall
Daniela Shalom Vagata
nell’immagine:
Miwa Yanagi, Mobile stage truck for the play, Nichirin No Tsubasa (The Wing of the Sun), dettaglio, 2014