Charles Baudelaire
Bohémiens en Voyage
La tribu prophétique aux prunelles ardentes
Hier s’est mise en route, emportant ses petits
Sur son dos, ou livrant à leurs fiers appétits
Le trésor toujours prêt des mamelles pendantes.
Les hommes vont à pied sous leurs armes luisantes
Le long des chariots où les leurs sont blottis,
Promenant sur le ciel des yeux appesantis
Par le morne regret des chimères absentes.
Du fond de son réduit sablonneux, le grillon,
Les regardant passer, redouble sa chanson;
Cybèle, qui les aime, augmente ses verdures,
Fait couler le rocher et fleurir le désert
Devant ces voyageurs, pour lesquels est ouvert
L’empire familier des ténèbres futures.
*
La tribù profetica dalle pupille ardenti
ieri si è messa in viaggio, portando i piccoletti
sulle spalle, o liberando ai loro fieri appetiti
il tesoro sempre pronto delle mammelle pendenti.
Gli uomini vanno a piedi sotto armi splendenti
lungo i carri in cui si rannicchiano i loro cari
volgendo al cielo i loro occhi cerchiati
dal cupo rimpianto di chimere assenti.
Dal fondo del suo rifugio sabbioso il grillo,
guardandoli passare, raddoppia il suo trillo;
Cibele, che li ama, accresce le sue verzure,
fa colare la roccia e fiorire il deserto
davanti a quei viaggiatori, per cui è aperto
l’impero familiare delle tenebre future.
(traduzione di Valerio Lucidi)
* * *
Pubblico questa traduzione della celebre poesia di Charles Baudelaire, la tredicesima del libro Le fleurs du mal, a cura di Valerio Lucidi, un mio omonimo, di cui ho perso le tracce una decina di anni fa. Lo conobbi a Bologna, poi lo incontrai di nuovo a Parigi. Appariva sempre nei momenti più impensati, come ora la sua traduzione.
Lo incontrai la prima volta mentre ero in fila per mangiare una pizza al Bestial Market. Mi fermò, mi chiese se avevo qualche soldo da prestargli, perché non ne aveva per sfamarsi. Lo invitai a mangiare con me e fu così che ci conoscemmo. Lo incontrai di nuovo, anni dopo, mentre io salivo ed egli scendeva dall’Rer che collega la Cité Universitaire al centro di Parigi.
Avrei voluto salutarlo e sapere come stava: non aveva un bell’aspetto, in effetti. Lo rividi, per fortuna, qualche giorno dopo, che dormiva sotto un pilone della metropolitana, fra i cartoni, nel tredicesimo arroundissement, alla fermata Nationale. Camminavo felice, dopo il mio turno di stagista nella redazione del mensile «Le Monde diplomatique», al settimo cielo per quell’incarico tanto agognato sin dai tempi in cui studiavo francese a Bologna, ma ero anche in preda a una costante angoscia, perché non mi bastavano i soldi e non volevo chiederli ai miei genitori. La gente che dormiva per strada mi trasmetteva ansia, perché mi sentivo condannato a quel destino anch’io. Fu in quel momento, mentre felicità e angoscia si contendevano il mio umore, che lo vidi: era così bohémien, che mi dava il voltastomaco.
Qualche giorno prima, sempre durante una delle tante passeggiate che ero costretto a fare tra una fermata della metro e il luogo di un appuntamento o di un lavoro, guardando un avviso funebre, avevo appreso della morte di un drammaturgo anconetano, trasferitosi a Parigi negli anni Sessanta, un certo Federico Burattini. Non pensavo che anche questo Valerio Lucidi fosse un artista italiano emigrato a Parigi. io adoro gli artisti, vorrei sempre stare in loro compagnia, ma non sopporto i finti alternativi e il mio omonimo mi era sempre sembrato tale: uno di quei punk con il cellulare e la casa in affitto pagata da papà e mammà.
Dato il mio stato d’animo in quel momento, non mi sarei mai avvicinato, se non fosse stato lui, dopo avermi riconosciuto, a chiamarmi. Mi chiese cosa facevo e quando gli risposi che stavo facendo un dottorato in co-tutela fra Bologna e Parigi, lavorando nel frattempo come stagista in un giornale e dando ripetizioni di italiano per guadagnarmi da vivere, mi fece i complimenti e volle sapere se continuassi a seguire anche le vicende di Argo, la rivista che anni prima avevamo fondato a Bologna e in cui gli pubblicammo un testo, una volta. Certo, gli risposi. Allora prendi questa roba, mi disse, porgendomi dei fogli.
Erano alcune traduzioni e un libro di poesie.